Se il paradiso esiste sono convinta che sia qui.
Un'isola per ogni giorno dell'anno, dicono i nativi, ma che siano 365 o qualcuna in più o in meno, non fa differenza: questo arcipelago è qualcosa di unico, piccoli fazzoletti di sabbia fine e bianca, qualche palma da cocco, i suoi abitanti indimenticabili e un mare da mozzare il respiro. Benvenuti alle isole San Blas!
Al largo della costa panamense questi isolotti, di cui solo una quarantina abitati, sorgono nell'azzurrità del mare e sono la casa degli indigeni Kuna, una popolazione schiva e riservata, ma che mi ha permesso di entrare nella loro terra e condividere una delle esperienze più autentiche che mi siano capitate nella vita.
Ci sono due modi per arrivare in queste isole, ma che si scelga l'aereo fino a El Porvenir o la jeep fino a Cartì, per l'ultimo tratto dovranno necessariamente venirvi a prendere in barca.
Un'altra opzione è quella di girare le piccole isole con un'imbarcazione privata: gli amanti del turismo da diporto troveranno un mare indimenticabile e una rada diversa ogni notte.
Ma cosa rende unico questo posto? Credo che non ci sia una sola risposta: un insieme di sensazioni, di isolamento e condivisione allo stesso tempo, di ritorno al primordiale, di pace solenne e paesaggi da cartolina.
Nel lontano 2010 con il caro Cristian, compagno di viaggio e di scoperte in giro per il mondo, abbiamo organizzato il nostro "soggiorno in Paradiso": tramite un ostello di Panama siamo stati messi in contatto con Iron e abbiamo scelto le sue capanne per trascorrere qualche giorno in questo remoto angolo di mondo.
Un Cessna un po' sgangherato dove prima di salire viene fatto l'appello come a scuola, un tranquillo volo di una mezz'oretta, il ritiro bagagli in mezzo alla "pista d'atterraggio", proprio come si fa quando si viaggia con un pullman, il pagamento della tassa per entrare nella Comarca de Guna Yala.. ed ecco che inizia l'avventura!
Il tragitto per raggiungere l'isoletta di Narasgandup non iniziò in modo idilliaco, Iron era in ritardo e quando finalmente venne a recuperarci, questo omino (abituato a raccogliere i turisti da Cartì, geograficamente più vicino alla sua isola) sembrava arrabbiato per essere stato costretto a percorrere un lungo tratto di mare per venirci a prelevare. Quando compresi il suo disappunto, proposi di contribuire al costo della benzina per la barca e da lì tutto cambiò!
Vi racconto questo episodio, non certo per sottolineare il lato economico, ma piuttosto per sensibilizzarvi sempre sul turismo responsabile, che significa anche capire le esigenze dei popoli che stiamo andando a visitare; spesso queste persone vivono davvero con niente e il fatto di poter ospitare dei turisti è un modo per aumentare i loro miseri introiti: il costo della "gasolina" per lui era davvero oneroso e quando mi resi conto della sua difficoltà ho cercato di proporre una soluzione per non pesare troppo sulla loro fragile economia. Un piccolo gesto che venne accolto con gratitudine e che mi permise di entrare in una sorta di complicità con lui e in armonia con la popolazione dell'isolotto.
Certo per vivere un'esperienza così ci vuole spirito d'adattamento! Noi credevamo di essere preparati a questa esperienza unica: sapevamo che non ci sarebbero state comodità, niente acqua corrente, probabilmente non avremmo avuto modo di ricaricare la macchina fotografica, che la mia intolleranza al pesce forse avrebbe causato qualche problema in un'isola dove non esistono supermercati e che ci saremmo potuti annoiare in un luogo così remoto da tutto ...ma mai avrei immaginato di poter trascorrere 4 giorni alla Robinson Crosue, con il cuore gonfio di gioia a tal punto da rendere quelle giornate le migliori della mia vita.
Quelle che noi chiamiamo comodità, in un luogo come questo, perdono di importanza, Tutt'altro! Ti fanno comprendere molto sulla nostra frenesia e sul nostro modo di porsi verso il prossimo e, più in generale, verso la vita.
Un luogo dove il pavimento degli alloggi è la sabbia corallina, i servizi igienici sono davvero "essenziali", l'acqua dolce è un bene prezioso, l'energia elettrica è usufruibile solo per poche ore grazie ad un generatore, dove il mare è ricco di vita e di pesce e il cocco si raccoglie direttamente dalle palme, dove si abbandonano persino le infradito.
L'isola in cui sorgevano le "Cabanas Iron" era divisa tra 4 "proprietarie" donne, essendo quella dei Kuna una società matriarcale.
La moglie, che sembrava aver 20 anni più di lui, era il capo: Zeneide, una donna sempre seria, sfuggente, mai una parola in 4 giorni, alla fine del viaggio mi ha salutato col sorriso concedendosi addirittura ad una foto con noi.
La loro organizzazione era semplice: una barca a motore per andare a prendere i turisti e portarli a fare dei tour tra le isole, qualche gallina per avere le uova e perché no qualche volta magari anche un po' di carne (per fortuna per me), le palme per avere il latte di cocco, una canoa per uscire a pesca. E ago, filo e pezze colorate per realizzare le splendide molas a completare il tutto.
Nelle capanne non si soffre certo il caldo, accarezzati dalla brezza del mare, la sabbia diventa la miglior compagna durante le giornate. Si gioca con i granchi o si esce a pescare.
Il ritmo dei giorni è scandito dalle maree e dal sorgere del sole e della luna, nulla può scalfire l'armonia con la natura.
Le nostre giornate scorrevano come dei naufraghi in questo piccolo paradiso terrestre, intervallando bagni di sole con qualche giretto in barca, la musica delle piccole onde che si infrangevano a riva sempre in sottofondo.
La mattina ci si alzava dal letto e ci si trovava già in spiaggia, perché la capanna era esattamente in riva del mare; la colazione, servita nel grande tavolo comune, prevedeva uova, cipolla, bacon, frutta a non finire e latte di cocco. Ed io mettevo su il caffè per tutti, ovviamente la mia piccola moka mi ha accompagnato anche qui; cercavo di rendermi utile alla comunità, dando una mano ad Iron con la lingua: gli ospiti, decisamente eterogenei, si alternavano, generalmente rimanevano una sola notte al massimo due e capivano poco del suo spagnolo.
Poi ci si buttava in acqua o si andava a spasso per l'isola, per ritrovarsi in 5 minuti nuovamente davanti alla capanna. E quindi via di snorkeling tra mante e tartarughe, coralli e barracuda, stelle marine e gorgonie, per poi rilassarsi in amaca.
La sera ci si toglieva un po' di sabbia di dosso grazie all'acqua piovana contenuta in un grande barile, se pioveva, altrimenti.. beh poi lo vedremo.
E dopo cena, sempre a base di aragoste, polipi, granchi o caracol, si stava a guardar le stelle cullati dal silenzio.
Un giorno siamo andati nell'isoletta situata proprio di fronte, grande forse come un campo da calcio: io e Cristian siamo stati parcheggiati al mattino senza sapere se e quando sarebbero venuti a prenderci; del resto il tempo, per i Kuna, è un concetto del tutto relativo.
Un'isola di palme, essenziali per la comunità locale dato che il cocco, assieme al pesce, è stato per secoli il principale oggetto di scambio e base della loro economia.
Mi sentivo davvero come Crosue, tanto che ad un certo punto mi è sembrato di veder sbucare anche Venerdì! No, non fu un miraggio, c'era davvero una persona arrampicata su una palma. Un nativo delle San Blas, una sorta di custode dell'isoletta con il quale mi misi subito a dialogare cercando di capire cosa ci facesse lì tutto solo: un nucleo di 24 famiglie, mi raccontò, che hanno la "concessione" di questo fazzoletto di sabbia ricoperto di palme da cocco; si alternano ogni 2 mesi per potersene prendere cura e vigilare che nulla accada al loro "oro".
In maniera fiera e orgogliosa mi disse di avere anche un appezzamento nella terraferma, mostrandomi il suo primo raccolto, qualche seme dentro ad un vasetto. Da quei pochi semi dipendeva la prosperità della sua famiglia, la possibilità di avere cibo e salute.
Il pomeriggio successivo visitammo il "pueblo", il villaggio più grande dove c'è anche la scuola; fummo davvero fortunati poiché capitammo in occasione della festa della chicha dedicata ad una bimba che entrata in pubertà, una delle tappe più importanti nella vita di una donna Kuna; viene chiamata così in nome della bevanda di mais fermentato, la chicha fuerte, alla cui produzione partecipa tutta la collettività. Le donne si ubriacano come non si può nemmeno immaginare e le si vede finalmente ridere.
Il Sahila, che ricopre contemporaneamente la figura di leader politico e spirituale, dopo averci accolto ci accompagnò a visitare la casa del Congresso, la grande capanna dove si riunisce la comunità per prendere le decisioni.
I bambini ci guardavano con sospetto, strani uomini bianchi venuti da lontano, di cui uno, Cristian, davvero un gigante! Ma dopo qualche timido sorriso, eccoli a giocare con noi.
Nella bolgia che animava il villaggio, tra uomini praticamente in coma etilico e donne assurdamente ubriache e disinibite, incredibilmente diverse dalla loro normalità, il mio sguardo venne rapito da una donna, seduta in disparte a guardare il mare. Non ho avuto il coraggio di avvicinarla, ho immaginato fosse uno di quei momenti in cui i Kuna si rivolgono al mare per avere le giuste risposte.
Nel mio articolo dedicato a questa incredibile popolazione, avete avuto modo di leggere l'ammirazione che ho provato per questo popolo, per la loro cultura e per le loro tradizioni: se non lo avete ancora letto, potete farlo qui.
Un altro giorno, siamo stati a spasso per le isole nei dintorni assieme ad altri ospiti dell'isola, spiriti più o meno indomiti come noi a caccia di emozioni autentiche.
Ed ecco quindi che con la barca visitammo Cayos Holandes e Coco Bandera, una piscina nel mare come mai vista prima, con il mare dalle mille sfumature di azzurro.
La nostra barca fendeva tratti di mare aperto per raggiungere, tra un isolotto e l'altro, tra nuvole minaccianti pioggia e schiarite improvvise, fondali dalle basse acque trasparenti e cristalline: direttamente dalla barca si potevano vedere stelle marine e pesciolini multicolori, proprio come fossimo sott'acqua. E poi tutt'intorno lingue di sabbia bianca, e isolette che sembrano sassolini gettati nel mare, alte poco più di mezzo metro sulla superficie dell'acqua.
L'ultimo giorno, mentre altri turisti andavano a fare un altro tour, io e Cristian partecipammo ad una delle incombenze dei Kuna, quella di andare a recuperare l'acqua dolce nella terraferma. Un momento di condivisione della loro vita che mi ha aperto il cuore come mai prima di allora.
Ricordo ancora l'espressione stupita di Iron quando chiesi se potessi accompagnarlo: non era mai capitato che un turista, anziché spaparanzarsi al sole, fosse disposto a lavorare. E fu un'esperienza che ci è rimasta dentro, sotto la pelle, ogni tanto io e Cristian ancora ne parliamo e il ricordo ci fa uscire un sorriso.
Il giorno della ripartenza, inutile dirlo, mi scese una lacrima; mentre mi veniva finalmente annodato al polso il "wini" che avevo commissionato, fu davvero triste pensare di lasciare questo posto incantevole e queste persone che porterò sempre nel mio cuore.
Una viaggio nell'arcipelago di San Blas é molto più che una vacanza, è un'esperienza che lascia un segno dentro a chi sa cogliere la differenza tra un tour e l'occasione di vivere della purezza d'animo dei suoi abitanti, addentrandosi tra gli usi e i costumi di una popolazione senza tempo. Qui non ci sono alberghi o infinity pool, per capirci, ma un concentrato di tutto ciò che la natura e la semplicità degli indigeni Kuna possono offrire.
Se vi è piaciuto il racconto, condividete il mio post! Se qualcuno ci è già stato potrebbe ricordare con piacere l'esperienza e se invece ha intenzione di andarci, magari lo possiamo aiutare a vivere al meglio il sogno di passare qualche giorno in uno degli ultimi ..paradisi in terra!
Ciao Gio' è incredibile.... solo leggendo i tuoi viaggi ho capito quanti bei posti hai visto. Oltre a sapersi adattare, perché i tuoi viaggi sono sempre un'avventura, ci vuole anche tanto coraggio. Brava e complimenti per il tuo blog.