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Immagine del redattoreLa Gio

Il popolo Kuna: un viaggio nel tempo nella Comarca di Kuna Jala

I Kuna (Guna come scopriremo in seguito) sono una fiera e schiva popolazione che da sempre lotta per mantenere la propria indipendenza e le proprie tradizioni; abitano nella giurisdizione indigena chiamata Comarca di Kuna Yala. un territorio che si estende tra la costa panamense, il Darien e l’arcipelago di San Blas, su una quarantina delle 378 isole che lo compongono.

L’arcipelago di San Blas, uno degli ultimi paradisi in terra, fatto di atolli deserti, bagnati da acque cristalline e protetti da vivaci barriere coralline, dove il turismo di massa ancora non è arrivato e dove i Kuna vivono in armonia con la natura circostante.

Nel 2010, io e Cristian, il compagno di molte avventure in giro per il mondo, intraprendemmo il viaggio verso quella che all'epoca era una perla per pochi pionieri, principalmente backpackers come noi, nonostante i costi fossero sensibilmente più alti rispetto al resto di Panama.

Ad oggi, quell'esperienza rimane una delle mie preferite, uno degli angoli di mondo più puri e incredibili che io abbia mai visto.

Per i Kuna, discendenti degli Incas e degli indios Mapuche, tutto ha un’anima: le piante, la natura, gli uomini, gli animali, tutti fanno parte di un unico organismo che li unisce con un reciproco rispetto.

Hanno un organizzazione matriarcale della società: è la donna che sceglie il suo sposo ed è la nascita di una figlia che farà continuare la stirpe. Gli uomini detengono l’autorità, soprattutto nella sfera pubblica, ma sempre in virtù dello status ottenuto grazie alla loro discendenza matrilineare.


La bandiera dei Kuna riporta un’effige di due pugni incrociati, simbolo della forza di questo popolo, uno dei pochi a essere scampati alla dominazione spagnola, rifugiandosi nell'Amazzonia prima e su queste isole poi. Nel 1925, dopo una vera e propria guerriglia con i militari panamensi, il popolo ha ottenuto l’autonomia organizzativa e legislativa di cui ancora oggi godono.


Sono molto riservati ed è raro che si lascino fotografare, ma se ci si pone nella giusta maniera e sempre con rispetto, ti apriranno le porte di casa, raccontando le tradizioni della loro cultura e magari, come è successo a noi, ti permetteranno di partecipare alle loro incombenze.


La musica e la danza sono elementi fondamentali della loro cultura, poiché accompagnano ogni rito e cerimonia che celebri un momento importante della vita del singolo individuo o della comunità; quest’ultima è ben organizzata secondo uno schema immutato nel tempo che prevede autonomia per ciascun villaggio, guidato dalla figura del "Sahila", il leader politico e spirituale.


La religione è guidata dallo sciamano, chiamato "nele", il quale si occupa di intermediare tra il mondo umano e quello degli spiriti.

La loro economia è basata sull'agricoltura e sulla pesca. Le aragoste, insieme alle noci di cocco e alle molas, sono le merci che vengono vendute o barattate anche sulla terra ferma in cambio, per esempio, di riso o carburante.


A differenza degli uomini che vestono in modo molto semplice, all'occidentale, le donne sono abbigliate in maniera stupefacente. Il tradizionale vestiario è composto da un telo avvolto intorno ai fianchi e una blusa alla quale vengono sovrapposte le spettacolari molas. La testa è coperta da un foulard rosso; gli incredibili “wini”, braccialetti di perline, vengono posti attorno alle caviglie e sulle braccia, secondo una tecnica particolare. Una sorta di cerchietto piatto e dorato posto tra le narici, impedisce alla loro anima di fuoriuscire mentre le guance vengono tinte con il genipà, una sostanza vegetale rossa, usata come essenza di bellezza per sedurre.

Il naso viene valorizzato tracciando una sottile linea nera su tutta la lunghezza, con la jagua, una pianta della foresta che, ossidandosi, tinge la pelle. Tutte le settimane alcune donne rinnovano questa linea, per sottolineare la simmetria del volto. E’ probabilmente l’ultima manifestazione dei tatuaggi che in altri tempi ricoprivano il corpo dei Kuna,

E parlando di tatuaggi non si può non parlare delle splendide Molas.

Le molas sono delle vere opere d’arte, ottenute cucendo e sovrapponendo diversi strati di stoffa di vari colori. L’origine delle molas deriva proprio da una serie di ornamenti che in tempi lontanissimi eseguivano con i colori sulla nuda pelle; nel tempo si è passati a riprodurli nei tessuti, con una tecnica d'intarsio complicata di grande effetto.

Motivi geometrici tipici della loro tradizione, ma anche motivi legati alla natura che li circonda, piante, animali, fino ad arrivare a vere e proprie scene tratte dalle loro abitudini e dalla loro vita quotidiana.

Appena hanno un momento le donne di dedicano a questa attività: sole o raggruppate a chiacchierare si trovano sempre con il loro lavoro tra le mani. Essendo molto apprezzate dai turisti, negli anni hanno imparato a produrli non solo per se ma per venderle e ricavarne quanto serve per la loro sussistenza.

In questo viaggio ho avuto modo di condividere le mie giornate con loro, nella piccola isola di Narasgandup: il tempo di una sigaretta ed avevo già terminato il periplo. Un' isola rustica, dalla bellezza commovente e travolgente: un mare da sogno, qualche palma, una capanna il cui pavimento era la sabbia bianchissima.


Ma la cosa più bella è stata far parte della loro vita per qualche giorno, condividendone i ritmi e imparando le loro abitudini: mi hanno voluto bene, tanto da permettermi di passare un intero pomeriggio con loro per prendere l'acqua nella terraferma.

Già perché qualcuno potrebbe non pensare che l'acqua dolce per lavarsi e cucinare in un isola di pochi metri quadrati non esce dal rubinetto!


Quando vidi fermento intorno alla canoa, con recipienti di ogni forma che vi venivano accatastati dentro, chiesi cosa stavano facendo e mi risposero che dovevano andare al fiume. Timidamente chiesi se potevo unirmi e dopo sguardi stupiti (generalmente i turisti vanno alle San Blas per godersi il sole, non per faticare) e un acceso consulto tra di loro, la "matriarca" sempre seria e schiva ha accettato; una volta saliti nella lunga canoa dotata di motore, ho vissuto una delle esperienze più autentiche della mia vita.

La canoa viene caricata con qualsiasi sorta di recipiente che può contenere acqua, da un barile ad una bottiglietta da mezzo litro e si parte!

Si attraversa il mare che separa l'isola dalla terraferma, si entra nella foce del fiume, si scende, si spinge, si risale, si evitano le secche, si zigzaga tra i tronchi, si risale il fiume, fino a raggiungere le acque limpide e cristalline dell'entroterra.

In questa occasione bisogna approfittare per lavarsi, non capita spesso avere così tanta acqua a disposizione!

Ci suggeriscono di addentrarci un po' ed esplorare. Hanno capito come sono, credo.

Il fiume è limpidissimo, contornato da palme, una luce particolare mi avvolge, le farfalle volano tra i fiori tropicali, tucani e pappagallini colorati lanciano i loro richiami: il giardino dell'Eden esiste. Ed è qui.

Una volta riempite tutti i contenitori, si torna indietro; molto più pesanti di prima e quindi sali, scendi, spingi, incagliati, esci dalle secche, evita i tronchi e via verso il mare aperto.

All'arrivo è grande festa nell'isola, questa operazione non si svolge spesso, la terraferma è lontana e la "gasolina" per il motore costa. La signora non ha detto una parola per tutto il tempo, ma credo di essere entrata nelle sue grazie, perché quando le chiedo di potermi fare un bracciale come il suo, accetta nel suo silenzio impassibile.

Ci ha messo tre giorni per farlo, prendendomi la misura solo due volte: un unico filo lunghissimo di perline intervallate di due colori, un giro e un nodo, poi un altro giro e un nodo e via così. Non si sa come... alla fine il risultato è magistrale: perfettamente aderente al polso, ogni giro va a comporre un disegno, con le perline arancioni che si "accomodano" alla perfezione tra le gialle, secondo la figura immaginata nella sua testa.


Oltre a qualche meravigliosa escursione sulle isole paradisiache, un pomeriggio ci hanno portato al villaggio principale, dove c'è anche la scuola; c'era una festa in corso e la cosa che mi ha davvero stupita è la quantità di alcool che le donne bevevano: solitamente siamo abituati a vedere gli uomini che alzano il gomito, ma qui sono le donne le grandi bevitrici, che cantano allegramente e sorridono.

E lo fanno solo perché sono ubriache; passata la sbornia torneranno impenetrabili e serie, avvolte nel loro tran tran quotidiano fatto di pesca e molas.

Chi sceglie l’arcipelago di San Blas come destinazione per le proprie vacanze non sceglie solo un luogo per tornare con una tintarella da fare invidia, ma sceglie di percorrere un viaggio nel tempo, di riequilibrare i propri ritmi, di lasciare a casa frenesia ed orologio, perché qui il tempo è davvero relativo: non è scandito dalle suonerie dei cellulari, ma dal loro canto tradizionale, accompagnato dai nasisi (un tipo di maracas) e dai flauti, in un atmosfera di equilibrio perfetto tra popolo e natura.


Per raggiungere l’arcipelago di San Blas ci sono due modi: l’aereo è indubbiamente la soluzione più facile e veloce, in una quarantina di minuti si può atterrare a El Porvenir, in un’ aeroporto che è una semplice pista battuta, molto “agreste”. Da lì qualcuno deve venirvi a prendere o sperare di incontrare chi vi offre ospitalità in un' isola.

Areoporto El Porvenir alle 5 del mattino

L’altra opzione è via terra con un’automobile 4×4: questa è forse l’esperienza più ricca anche se certamente la più impegnativa e lunga; ci si lascia alle spalle i grattacieli della Ciudad de Panamá, si percorre la Panamericana in direzione di Chepo, per continuare poi fino al villaggio di El Llano (ovviamente questa soluzione è sconsigliata in caso di pioggia ed ai meno esperti).


 

Una delle prime descrizioni dei kuna risale al 1699 e fu fatta dal medico scozzese Lionel Wafer: "Questi indiani hanno l’usanza di dipingere i loro corpi, a volte addirittura quelli dei bambini tenuti in grembo. Essi disegnano degli uccelli, degli animali, degli uomini, degli alberi…, dall’alto in basso, su tutto il corpo ed in particolare sul viso. Ma i loro disegni, non molto verosimili, sono di scala differente, secondo la loro fantasia. Sono le donne che dipingono e ne traggono un grande godimento. I loro colori preferiti sono il rosso, il giallo ed il blu, molto vivi e piacevoli. Esse li stemperano con dell’olio e li conservano in delle zucche vuote; li stendono sulla pelle con dei bastoncini di legno che, arrotolati alle loro estremità, hanno la dolcezza di un pennello. Così applicati, essi durano per settimane e sono continuamente rinnovati.

 

Solo recentemente ho saputo che dal 2011, la comarca (distretto) ha cambiato nome, diventando ufficialmente "Guna Yala". In quell'anno, infatti, il Governo panamense ha accolto il reclamo del popolo Guna, dato che nella loro lingua nativa non esistono la lettera K.


Non so quanto siano cambiate le cose oggi, a distanza di 10 anni dalla mia visita; probabilmente staranno facendo fatica a fuggire dalla globalizzazione che ahimè avanza senza tregua. Di quel che son certa però è che un viaggio tra queste genti arricchisce l'anima di chi ha il coraggio di intraprendere il viaggio verso di loro.



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Seguimi per altre avventure su Girovagando con Gio, alla scoperta di culture poco conosciute e.. di speciali angoli di mondo.

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